Non voglio tornare in città.
Là soffocavo stritolata nei gorghi del viavai di veicoli affumicanti, perdevo colore sui marciapiedi affollati di fantasmi affaccendati nel loro nulla impellente.
Ho guardato il grigio sopra alla mia testa, cercando il cielo e la profondità.
Ho respirato disinteresse, egoismo, cercando di trattenere con una mano la spalla di un passante qualsiasi.
Solo per scorgere un sorriso colorato, uno sguardo acceso, un fiato caldo.
Ma ho proseguito da sola con le mani premute sulle orecchie, cercando di allontanare il frastuono di vita apparente che ululava di possesso, di coprire i vuoti nascosti sotto la pelle.
L’aria odorava di fumo e pensieri inutili, gettati negli angoli più nascosti di una città mostruosa, degna rappresentazione di un’umanità guastata e dimenticata.
L’unica luce accecante proveniva da immense vetrine specchiate in cui troneggiavano prodotti di ogni sorta. Oggetti superflui accompagnati dal cartellino del prezzo, sempre esorbitante.
Sembravano fari nella notte disperata di chi cerca il proprio senso all’infuori di sè.
Ho camminato per ore in labirinti identici fino a girare un angolo e ritrovarmi davanti ad una porta di legno.
Mi sono sorpresa ad abbassare la maniglia per provare ad aprirla.
Una luce soffusa mi ha accolto nel silenzio irreale.
La stanza era vuota, solo una lampadina pendeva dal soffitto.
Ho chiuso la porta alle mie spalle e un sospiro lunghissimo mi si è liberato dentro.
Così ho ricordato:
Non ero più un corpo da molto tempo, ero rimasta essenza, l’anima della persona che avevo abbandonato.
Ora sono di nuovo al sicuro, avvolta dal luogo che mi sono costruita per sopravvivere.
Uno spazio fatto di assenza, dove ciò che davvero importa lo ho già con me.
Solo l’anima. Nient’altro.
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